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2023 | Fiori di Palestina


Tubi neri (Black pipes) from "From the river to the sea" Not/Nero Editions

Rocce, fiori.

Tubi neri.

Serpe, sentiero.

Tubo nero.

Mai in vita avevo

dovuto prestare

tanta attenzione a non calpestare

qualcosa.

Entriamo nella serra.

Qui che è religione e sopravvivenza

Pestare un tubo è un fatto totale.

Rasheed guarda a terra.

Ma si capisce, questo è un altro sole

Che con un raggio nutre

E con l’altro asseta

E la vita lontana prova a scassinare l’eternità con grimaldelli di vento.

Da qualche parte in questo deserto

c’è una pietra chiamata attimo.

In cui Rasheed si è perso.

Quando stacca l’erbacce dalle piante di ceci

Rasheed tiene la base ferma, impreca e guarda a terra.

Quando un pomeriggio inchioda col pick-up e spegne la radio, toglie le mani dal volante per sentire il vento tra le spighe dei campi, portiera aperta,

Rasheed gode e guarda a terra.

Arriviamo oltre il colle fra resti di un villaggio raso al suolo dove un tempo viveva la sua famiglia e ora c’è lui solo. Rasheed ricorda le storie, prende a calci le macerie poi si ferma e guarda a terra.

Il resto della sua giornata

È di un indicibile solitudine.

Lo vedo mangiare da solo,

Dormire da solo,

Lavarsi da solo di fronte al nulla.

Che sta bene così. Che sembra potrebbe sopravvivere al mondo.

Di santo silenzio contadino.

Lui sa di essere nato per questo.

Nel ripetersi diventa eterno e l’eterno porta consegne ardimentose oltre ogni calendario.

Lo fisso nella sua impenetrabile intimità contadina

Spezzata da una sigaretta.

Ogni giorno il suo desiderio si fa una tana dove morire.

Al riparo da tutti gli inverni che il letargo dell’abitudine deposita.

Mentre lo aiuto a riparare i tubi con cui ruba l’acqua per coltivare le zucchine o come la chiama lui “agroresistance”.

Rasheed tiene in bocca una torcia e so già dove guarda.

Perché quella terra gliela stanno portando via.

Rasheed è un contadino palestinese della periferia di Bardala costretto a rubare la sua stessa acqua all’esercito israeliano che la estrae illegalmente.

Lui combatte così. Riprendendosi l’acqua, rischiando la vita per coltivare zucchine.

Volontaria azione, involontaria pulsione.  A volte resistenza è solo provare a vivere come le altre persone. Fare finta sia normale.

Come il fiore si ostina a crescere nell’asfalto,

Rasheed coltiva zucchine nel deserto.

A fine giornata, quando piovono a cascata i canti dei muezzin e i cani corrono in branchi sui tetti a sentirli, dà da mangiare a cani e cavalli, mette a letto le bimbe nella giacca di montone e scoppia a piangere in silenzio; i suoi zigomi sono versanti di colli difesi dall’orgoglio mentre si stende sul pavimento della sua fattoria da solo, avvolto in una coperta. Ma non guarda più a terra. Adesso guarda il cielo. E so, perchè l’ho visto, che gli dà la forza di continuare a ripetere qualcosa di incomprensibile, ma giusto. Come il moto delle stelle. Non lo sapremo, non lo saprete mai. Rasheed vive. Continuerà a combattere nonostante tutto il mondo intorno. 

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